Geeksquare – Top of the week

  • Tutti i segreti di Google – Scaricatevi questo PDF, contenente tutto quello che c’è da sapere, dall’elenco dei servizi messi a disposizione, alle URL per raggiungerli, agli IP di Google bot, a tutto, ma proprio tutto quello che avreste voluto sapere su questo universo parallelo…
  • Il tetris più grande al mondo – E’ il più grande Tetris in circolazione, creato con 10.000 luminarie di natale, un PC Linux, una rete che ha innervato 12 piani e 11 schede elettroniche costruite ad arte…
  • I giochi per Google Maps – Cosa succede se vi capita di utilizzare il mondo come scenario dei vostri giochi? Beh, potreste limitarvi a prendere in considerazione le mappe di Google e otterreste comunque un bel risultato, come dimostra questa pagina nella quale potrete trovare i link a ben 8 giochi basati su Google Maps…
  • Tutti i driver per XP su un solo cd – Il progetto DriverPacks vi consente di tenere in casa una risorsa davvero unica. Scegliete il pacchetto di driver che vi intessa, e scarcatelo. Oppure, prendeteli tutti e masterizzateli, in modo da averli sempre a portata di mano…
  • Samsung YP-F2, telefonino piccolo e carino – Questo nuovo cellulare offre uno schermo esterno LCD monocromatico a tre righe, e una memoria interna che può andare da un minimo di 512 Mb, a un massimo di 2 Gb. Niente male per un telefonino, che inoltre funziona anche da riproduttore di file MP3, WMA e OGG, ma anche come radio FM RDS..
  • Prime Super Mini, un contendente al Mac Mini? – E’ un po’ più largo del Mac Mini, 17,2 x 22,6 cm. contro 16,5 x 16,5 cm., ma è più sottili, con 4,2 cm. contro 5,1 cm. Di cosa stiamo parlando? Di Prime Super Mini della giapponese Third Wave, un piccolo computer che raccoglie un processore Intel Core Duo T2600…
  • Space Cube, qualche millimetro di computer – Siete alla ricerca di un computer piccolo piccolo e anche il Mac Mini vi sta troppo largo? Date un’occhiata a Space Cube, un simpatico cubetto di 55 x 52 x 55 mm. che racchiude SpaceWire, una porta Ethernet, USB, presa per il monitor, SDRAM 64 Mb…
  • Il marchio di Microsoft sulle copie illegali – La notizia era nell’aria da un po’ di tempo, ma in molti speravano che non si concretizzasse: ebbene si, da oggi Microsoft “marchierà” tutti i computer che non montano una copia originale di Windows…
  • Democracy, la tv via internet anche per Linux – Gli appassionati di TV via internet e di Linux hanno finalmente a disposizione il nuovo client Democracy 0.82 beta, pacchettizzato per Ubuntu, Debian e Fedora…
  • Woodcrest, Conroe e Merom, le nuove CPU di Intel stanno arrivando – Intel guarda al futuro con una linea di processori disponibili a breve, realizzati con una nuova microarchitettura. I nomi in codice dei nuovi chip sono rispettivamente: Woodcrest per i server, disponibile già a Giugno, Conroe, per i desktop, che vedrà la luce a Luglio e infine Merom, per i notebook, che invece sarà pronto per Agosto…

Geeksquare – Top of the week

  • PixelRoller, dipingere i muri con i pixel
    Con PixelRoller potete prendere una qualsiasi stringa di testo o una
    immagine, caricarla sul computer e quindi trasferirla al rullo pieno di
    vernice…
  • Utilizza le cartucce Epson fino alla fine
    Se volete spremere fino all’ultima goccia della vostra cartuccia,
    allungandone il ciclo di vita, provate SSC Service Utility un
    programmino che, fra le varie opzioni di manutenzione, presenta una
    utilissima funzione di blocco del contatore di svuotamento delle
    cartucce…
  • L’Hard Disk da 15500 RPM
    Seagate punta alla pole position con la sua linea di hard disk
    denominata Cheetah 15K.5: le nuove periferiche, che saranno disponibili
    con molta probabilità a partire dal prossimo inverno nei tagli da
    73/146/300 Gb., viaggiano alla velocità di 15.500 giri al minuto…
  • XPS, Il portatile estremo di Dell
    Con il nuovo portatile di Dell, non avrete di certo problemi di
    prestazioni: XPS M1710 infatti, vanta un processori Intel Duo Core
    T2400/T2500, 1 Gb. di memoria DDR2, HD da 60-120 Gb. SATA e scheda
    video GeForce Go 7900 GTX (special edition)…
  • Teclast T19, il secondo lettore MP3 dual core
    Dopo il primo lettore MP3 dual core. Teclast ci riprova con T19, una
    versione migliorata, dotata di due processori di decompressione audio,
    il Telechips TCC 760 e il Wolfson WM8750…
  • Da Samsung le prime MMCmicro da 2 GB
    Samsung, come al solito, conduce la corsa all’innovazione nel campo
    delle memorie solide con un nuovo annuncio: fra poco arriveranno sul
    mercato le prime MMCmicro (12 x 14 x 1.1 mm.) da 2 Gb., caratterizzate
    da una velocità di ben 3,5 volte maggiore rispetto alle altre schede
    sul mercato…
  • Appunti su disco
    A gentile richiesta e per la serie: “a volte ritornano”, siamo lieti
    di riproporvi i vecchi Floppy Disk da 1/4 di pollice. E’ chiaro che 360
    Kb oggi, non vi servirebbero per archiviare un bel niente e così Acorn
    Studios, ha pensato di riadattarli come copertine per taccuini da 80
    fogli di carta riciclata…
  • Occhio all’abbronzatura
    Attrezzatevi con questo rilevatore di raggi UV: mettetevelo attorno
    al collo e lui vi indicherà la potenza dei raggi UV, vi raccomanderà il
    giusto fattore di protezione, avvertendovi anche di quanto tempo vi
    rimane prima che vi scottiate…
  • Aiuto, c’è un invasione di Apple!
    Quelli che vedete a destra sono 150 Mac Mini in bella mostra su tre
    rack all’interno del laboratorio Apple di casa Microsoft. Eh, si,
    perché pare che questi bimbi, insieme ad altri modelli di casa Apple,
    siano rinchiusi all’interno del Mac lab di Microsoft..
  • Il MacBook con Windows XP precaricato
    Pare che Expercom.com abbia proposto un MacBook Pro a 1,83 GHz. (e
    non solo…) con tanto di Windows XP precaricato su una partizione da
    20 Gb…

Bootcamp: da OS X a Windows per il “superior hardware”

Dopo aver lasciato sbizzarrire gli hacker in complicate conversioni, per portare OS X su PC, Apple ha rilasciato ieri Bootcamp, un “invertitore di flusso” per il mercato hardware, più che software. Cosa significa “invertitore di flusso”? Ci torneremo in seguito. Per ora limitiamoci a capire a cosa serve Bootcamp: semplicemente, si tratta di un’utility grafica che semplifica il lavoro di ripartizionamento del disco di un Mac Intel, automatizzando nel contempo la creazione di un cd di driver tramite il quale diventa possibile installare Windows XP sulle nuova macchine Apple, senza troppi problemi. Basta armarsi di un cd di installazione originale di Windows XP, un cd vergine sul quale masterizzare i driver, lanciare Bootcamp e alla fine riavviare il computer: l’utente si ritroverà con un sistema dual boot OS X/Windows XP, praticamente il sogno di molti che ancora non vogliono acquistare un Mac per paura di abbandonare un sistema operativo ben conosciuto e familiare come quello di Microsoft. Da notare che Bootcamp è disponibile per ora in forma di beta gratuita liberamente disponibile, ma sarà integrato nella prossima release di OS X, denominata Leopard e questo lascia pensare a qualcosa più di una semplice helper utility, buttata lì quasi casualmente.

Ma tutto questo, giova veramente e solamente all’utente?
Proviamo a compiere due riflessioni senza rete.

E’ interessante richiamare alla mente la strategia di posizionamento di Apple nella catena di valore che definisce la redditività di un prodotto di largo consumo come iPod: dalla creazione, alla distribuzione, alla fornitura di contenuti digitali, tenuta alla briglia dal DRM applicato ai prodotti iTunes, quasi tutta la filiera è saldamente nelle mani di Apple. Indubbiamente ciò è un bene per l’utente finale: Apple ricava a ogni passaggio un piccolo guadagno e il prezzo di ogni singolo stadio si attesta su valori tutto sommato bassi. E’ l’azione sinergica dovuta al possesso dei vari anelli della catena del valore a consentire che ogni step sia poco oneroso, garantendo nel contempo un buon guadagno complessivo del prodotto iPod, visto come unione fra prodotto materiale e contenuti multimediali offerti dallo stesso player, la casa di Cupertino.

A ben vedere, si tratta della stessa strategia perseguita nel tempo da Apple anche con i prodotti Mac: chiusura verso l’esterno, hardware proprietario, sistema operativo proprietario. Ma questa non ha avuto la stessa fortuna incontrata da un prodotto tutto sommato a basso costo e dall’acquisto compulsivo quale è l’iPod. E basta ritornare al 1997 per sentire Michael Dell suggerire la sua soluzione alla crisi profonda nella quale Apple versava in quegli anni: chiudere l’azienda e restituire i soldi agli azionisti.

Si era al culmine di una parabola discendente, di un meccanismo di produzione di valore negativo, fallito, rimasto confinato in una nicchia di utenti per lo più “creativi”, certo non di massa, tant’è che solo nel 2000 Jobs riesce a recuperare una situazione finanziaria critica e a ridare fiato all’azienda con l’introduzione dell’iPod, ma siamo nel 2001.

Di massa era sicuramente Windows, un sistema tutto sommato sul limine opposto a quello di Apple: un sistema operativo per nulla integrato con la soluzione hardware pilotata, aperto alle incursioni di produttori di ogni dove.

Il risultato? Computer meno costosi, sistema operativo estremamente diffuso, apertura di Microsoft sul fronte delle applicazioni. Non c’è da nascondersi che il fatto di produrre un sistema operativo avvantaggi chi sia intenzionato a scrivere delle applicazioni per questo sistema e Office è la maggior fonte di rendita per Microsoft: è ovunque, utilizzato da chiunque, per qualunque scopo. Ovviamente generalizziamo, ma è una generalizzazione che rende l’idea.

Se Office è la principale fonte di guadagno di Microsoft, più di Windows stesso, nelle sue varie forme, quale è il peso della strategicità dello scrivere o possedere il sistema operativo sul quale questo risiede?

Non sfugge certo il tentativo di Microsoft di spostate parte del business su Live, la piattaforma che centralizzerà gli applicativi e i dati da essi prodotti sui server remoti gestiti da Microsoft stessa. Progetto inseguito da molto tempo, ma che solo l’avvento del broadband diffuso ha consentito di rendere un’idea praticabile, spostando la produttività dal computer periferico, fondamentalmente incontrollabile, a una sorgente di erogazione di servizi remota, centralizzata, maggiormente controllabile.

Il sistema operativo si sta lentamente “virtualizzando”, diventando accessorio rispetto alle applicazioni, ai programmi, che siano dedicati alla produttività d’ufficio, alla gestione delle email, ai giochi ormai molto diffusi online.

E veniamo all’hardware. I Core Duo di Intel non sono una prerogativa esclusiva di Mac e gradatamente, senza troppo clamore, nelle fasce più alte di prodotto, soprattutto per i notebook, stanno arrivando i nuovi processori Intel, associati ai chip di Trusted Computing.

Ma cosa frena gli utenti dal prendere OS X funzionante su processore INTEL e portarlo sulle piattaforme PC dotate dello stesso tipo di CPU? Nulla, in effetti già qualcosa è stato fatto aggirando la protezione dei chip TC presenti, finora sfruttati al minimo delle loro potenzialità.

Prendendo la palla al balzo, però, Apple inverte i termini del gioco: perché portare OS X su PC, quando è Windows che può essere fatto scivolare senza problemi dentro un Mac Intel?

Lo scambio dei fattori, a ben vedere, è molto più redditizio. Non è il portare un sistema software “sconosciuto” su una piattaforma hardware familiare ad ampliare la base di mercato, ma è proprio il contrario, cioè portare un sistema operativo familiare su una piattaforma hardware sconosciuta.

A ben vedere, portare OS X su PC non ha né molto senso nè grandi vantaggi: la piattaforma Mac ha sempre goduto di buone prestazioni e affidabilità proprio per la forte compenetrazione fra sistema operativo e hardware, entrambi in mano ad Apple e quindi ben conosciuti e ben sfruttati. Muovere qualche passo nel mondo dei PC costringe a inerpicarsi in quella babele di periferiche, schede e processori che hanno reso si molto diffuso Windows ma ne ha anche limitato le prestazioni e inficiato la stabilità.

OS X, in fin dei conti, non ne avrebbe molto da guadagnare soprattutto se si tiene conto degli sforzi compiuti da Apple per accreditare i propri computer come oggetti di qualità, facili da utilizzare e costruiti con materiali di buona fattura.

Ha maggior senso l’operazione inversa: portare gli utenti Windows dalle piattaforme hardware PC a Mac.

Perché? Sostanzialmente per eliminare un gap sostanziale che ostacola la diffusione di OS X, ovvero la diffidenza di quegli utenti che sono nati in Windows e cresciuti con le sue applicazioni. Chi si butterebbe a corpo libero in un sistema operativo sconosciuto, con il timore di non ritrovarvi le applicazioni di sempre?

Lungi dal pensare all’utente avanzato, Apple ha a che fare con il cliente che utilizza il computer prima ancora di comprenderlo, che lo accende e vi ritrova quelle applicazioni che è solito utilizzare. Questi possono essere portati a OS X essenzialmente con due operazioni sinergiche:

  1. Con la riaffermazione dell’immagine di prodotto. Mac è semplice, Mac è user friendly, Mac funziona e non ha schermate blu, rosse o verdi. Mac è, dopo il successo di iPod, ancora più trendy, definisce uno stile di vita, un’immagine di sé, veicolata dal prodotto, vincente. Determina una identità di appartenenza a un gruppo connotato da forti attributi positivi e di integrazione sociale;
  2. Rassicurazione dell’utente. In OS X si possono ritrovare le applicazioni che vengono utilizzate in Windows. E se non vi sono, ora diventa possibili tenere Windows su Mac, accanto a OS X, e utilizzare uno o l’altro, forse il meglio di uno e dell’altro.

La transizione, quindi, può non solo completarsi, ma, aspetto più interessante, può iniziare.

L’utente è blandito e rassicurato, viene traghettato in una immagine positiva e nel contempo non è costretto ad abbandonare il mondo di riferimento, un po’ come un bambino che muova i primi passi attaccato alla gonna della madre.

Cosa ci guadagnerebbe Apple? Sicuramente inizierebbe a traghettare nel proprio mondo tutti quegli utenti curiosi, interessanti, ma poco disposti ad abbandonare un sistema operativo, o meglio una serie di applicazioni, utilizzate quotidianamente, a casa come in ufficio.

Altrettanto sicuramente, porterebbe questi utenti a conoscere OS X, visto che Windows XP si installerà solo come secondo sistema operativo, lasciando presente e attivo il sistema nativo Apple.

Infine, porterebbe i clienti a scoprire la qualità dell’hardware Apple, definito nelle parole di Philip Schiller, senior vice president del Worldwide Product Marketing di Apple “superior hardware”, che quindi sarà “more appealing to Windows users considering making the switch”.

Ma a discapito di chi andrà questa transizione? Di Microsoft? Difficile a dirsi. Certo è che se si vogliono cogliere segnali di nervosismo, questi andrebbero, per ironia, attribuiti a Dell, che ha appena acquisito Alienware, azienda specializzata nella produzione di computer che, non a caso, costituisce in parte un omologo di Apple nel mondo dei PC: crea hardware di qualità e computer dall’aspetto molto curato.

Microsoft, dal canto suo, può tutto sommato rimanere a guardare: il proprio sistema operativo inizia un viaggio su piattaforme del tutto nuove, mentre proprio lì dove finora arrivava con difficoltà, nel mondo Apple, ora può entrare a pieno titolo, con le proprie applicazioni in modalità nativa. Se, poi, dovesse perdersi il sistema operativo lato consumer, non è su quello che si crea business, ma su Office, che già ora sta guardando a nuovi orizzonti, lasciandosi dietro i vecchi PC “disconnessi”.

E così Apple arriverebbe a coronare un vecchio sogno, ovvero arrivare a controllare la catena di produzione del valore associata ai computer, strategia riuscita con iPod, assolutamente fallita con i Mac, non tanto per una questione di controllo, quanto per una resa produttiva inficiata dai numeri finora troppo bassi.

Di sfuggita, potremmo accennare a un nuovo problema: con l’avvicendamento di nuovo hardware pare ridursi la fetta di computer privi dei nuovi chip dedicati al Trusted Computing. DRM e TC, due facce della stessa medaglia, paiono essere i leitmotiv dell’industria dei prossimi anni, impegnata a gestire, salvaguardare e ottimizzare la gestione dei contenuti sulle piattaforme end user, decidendo chi può fare cosa, dove e quando.

Cosa fare se il mercato pare imprimere una decisiva svolta in questa direzione? Ci ritroveremo, come per i monitor LCD, senza più la possibilità di scegliere computer non TC? Già, perché basta andare in un qualsiasi centro commerciale per accorgersi che è il mercato dei computer a formare la domanda e non viceversa: provate a cercare un vecchio monitor a tubo catodico. Semplicemente, non se ne fanno più.

E quando non si faranno più computer privi di TC e DRM? Dovremo iniziare a pensare in termini di Hardware Libero? Difficile. Se nel mondo del software la creatività è affiancata da un ridotto costo materiale, nella sfera dell’hardware il discorso cambia radicalmente. Una scheda madre va ingegnerizzata, realizzata in prototipi, provata per poi essere messa in produzione su una linea di gestione appositamente attrezzata. E tutto questo richiede investimenti non comparabili con quelli richiesti per lo sviluppo di un progetto unicamente software.

C’è chi riduce la questione dei DRM a una semplice questione di interoperabilità, tesi interessante ma fuorviante, e chi tenta di far passare il Trusted Computing come strumento essenziale per combattere virus, troiani e malware in generale.

Ma chi ha da guadagnarci in tutto questo?

L’utente, tutto sommato, ben poco. Su gnuvox trovate una serie di link utili a risorse per approfondire i problemi legati ai DRM.

Il mercato ha tutto da guadagnarci, rafforzando il controllo sui “contenuti”, nuova parola d’ordine per il futuro prossimo venturo.

E quando non avremo più scelta? Dove vorrete andare, domani?

Geeksquare – Top of the week

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Cosa è Unix?

GNU/Linux è un sistema operativo Unix-like, ovvero è un sistema che si comporta come Unix, ma non è Unix. Sembra un gioco di parole, ma il problema si annida nella storia stessa di Unix, un sistema operativo nato più di 30 anni fa per uso commerciale e che è stato standardizzato negli anni attraverso le Single UNIX Specification (SUS), una famiglia di standard utilizzati per qualificare quei sistemi operativi che possono definirsi Unix.
Ricostruiamo, a brevi linee, l’albero genealogico di GNU/Linux, partendo dal lontano 1969, dai laboratori Bell della AT&T, nei quali venne sviluppato il primo sistema operativo per il PDP-7, un calcolatore a transistor dell’epoca. Al primo ricercatore, Ken Thompson, si unì ben presto Dennis Ritchie e insieme diedero vita a UNIX, nome suggerito da Brian Kernighan e nel 1973, Thompson riscrisse UNIX utilizzando il nuovo linguaggio C, ideato da Ritchie. In breve, siamo nel 1975, da questa prima versione viene scritto lo UNIX versione 6, il cui utilizzo si espande anche al di fuori dei laboratori Bell. A questo punto inizia un po’ di confusione: essendo un sistema operativo libero, Unix subisce una serie di mutazioni, rinascendo in differenti versioni, riscritte dai produttori di elaboratori per adattarle alle proprie macchine e spesso incompatibili fra di loro.
Non bisogna avere troppa fantasia per immaginare i problemi legati a questo sviluppo incontrollato: programmi scritti per una variante di Unix non era scontato che funzionassero su un’altra versione, amministrare un sistema Unix significava imparare le particolarità legate alla implementazione di ogni singolo produttore. Insomma, non era vita facile per programmatori, amministratori e nemmeno per i produttori che desideravano fornire insieme al proprio Unix un programma creato per qualche altro sistema, sempre chiamato Unix ma incompatibile. Per ovviare al problema, nel 1984 viene fondata X/Open, una società il cui scopo consiste nel definire gli standard dei sistemi aperti. Nel 1987 AT&T, proprietaria del marchio UNIX, costituisce insieme a Sun, UNIX International, organismo deputato alla definizione degli standard Unix. A complicare maggiormente la questione, gli altri produttori di Unix danno vita alla Open Software Foundation, il cui scopo è, neanche a dirlo, la definizione di standard Unix. Facciamo un salto al 1993, quando AT&T trasferisce le attività legate a Unix alla società UNIX Systema Laboratories, che vende a Novell. A sua volta, Novell vende il marchio X/Open e, nel 1995, cede i laboratori di sviluppo Unix, la cui versione viene definita UnixWare, a SCO. Nel 1996, X/Open e Open Software Foundation si fondono, creando The Open Group, il nuovo organismo deputato alla definizione degli standard UNIX, che da questa fusione eredita gli standard creati da X/Open, per primo il 1770, seguito da UNIX 95 e da Single Unix Specification Versione 2, per passare nel 1998 alla creazione di UNIX 98 e nel 2001 a Unix 03.
Per potersi definire Unix, un sistema operativo deve aderire agli standard UNIX definiti da The Open Group, ricevere la certificazione e quindi acqusisce il diritto di utilizzare il marchio UNIX.
Quei sistemi operativi che non aderiscono integralmente alle specifiche definite da The Open Group, o non vogliono investire il denaro necessario a garantirsi l’utilizzo del marchio UNIX, non possono definirsi sistemi operativi Unix, anche nel caso in cui, come per GNU/Linux, l’ambiente agisca proprio come Unix.
Insomma, GNU/Linux non è certificato UNIX e quindi non può essere definito un sistema Unix, non può ustilizzare il lorgo ma agisce come Unix. Un bel gioco di parole per dire che GNU/Linux non può essere chiamato Unix, ma quando ci si lavora sembra proprio di utilizzare Unix.
Alcuni preferiscono definire GNU/Linux un sistema aderente alle specifiche POSIX, Portable Operating System Interface, un insieme di specifiche, elaborate dal PASC (Portable Applications Standard Committee), comitato dello IEEE, Institute of Electrical and Electronics Engineers, emanate nel 1988 nella prima versione.
POSIX, termine coniato da Richard Stallman, è un insieme di API (Application Program Interface), che consentono di definire una interfaccia standard al sistema operativo e all’ambiente, il che si concretizza nello sviluppo di un interprete, ovvero una shell e di un insieme di utility comuni che facilitino la portabilità delle applicazioni a livello di codice sorgente e non di binario.
Ora, se non è possibile definire GNU/Linux un sistema UNIX, data la mancanza di una certificazione ufficiale da parte del The Open Group e se la definizione Unix-like appare abbastanza ambigua, nell’indicare qualcosa che è come qualcos’altro ma non lo è, indicare GNU/Linux come sistema POSIX compliant può far sorgere quantomeno una qualche ilarità. Nessun dubbio, GNU/Linux aderisce alle specifiche, quindi la definizione è calzante. Aggiungiamo, però, che anche altri sistemi operativi, come VMS, MVS, MPE sono sistemi aderenti alle stesse specifiche. Concludiamo che anche Microsoft Windows NT, per esempio, aderisce a POSIX. GNU/Linux e Windows NT possono essere accomunati sotto le stesse specifiche? Si. Quindi, forse meglio lasciare da parte un sistema di classificazione che non fa direttamente riferimento al sistema operativo, per evitare gustosi equivoci.